Roberto Giacobbo si racconta

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Roberto Giacobbo torna a raccontare l’Italia su Rete4 con il suo programma Freedom oltre il confine: in onda il meglio delle stagioni 2018 e 2019, nell’attesa di vedere le nuove puntate, ma per chi si sia perso le trasmissioni del passato è una buona occasione per soddisfare la propria curiosità su temi e approfondimenti tanto cari al nostro Paese. Cosa ha di speciale quel programma, oltre ai contenuti? È inclusivo, usa il font EasyReading perché ogni spettatore possa leggere chiaramente e con facilità ogni informazione. Il programma riprenderà a settembre su Italia1

Chi è Roberto Giacobbo?

Un ex ragazzo, alto due metri, che cerca di mantenere sempre viva la voglia di divertirsi.

Freedom è la sua ultima fatica. Come è nato il programma?

Avevo voglia di cambiare vita. L’ho fatto più volte. L’ho fatto quando da studente decisi di cominciare a fare lo speaker radiofonico, quando ho lasciato la radio – lavoravo in RDS da 14 anni – per diventare autore televisivo, scrivendo tanti programmi con grandi professionisti. Un giorno il mio primo libro è arrivato al terzo posto della classifica sui libri dell’Egitto e mi hanno chiamato da Telemontecarlo (l’attuale LA7) per chiedermi di fare un programma di divulgazione sull’Egitto. Pensavo da autore. Al telefono era Lillo Tombolini e nel 1999 nacque Stargate – Linea di Confine. Non me lo posso dimenticare: alla conduzione c’ero io.

Qual è il vostro target di riferimento?

Il nostro target è assolutamente trasversale. Il programma è indirizzato a chi ama scoprire cosa si nasconde dietro le apparenze. È per i premi Nobel e per chi non ha avuto la possibilità di studiare. È per i bambini e per i nonni, dai 4 ai 100 anni di età. Il programma è denso di didascalie e di immagini, facili da capire e fortemente comunicative, e di sottintesi volutamente non approfonditi, che spingono lo spettatore verso l’approfondimento e ne mantengono viva l’attenzione e la curiosità.

Ha portato il primo drone nel Duomo di Milano, come c’è riuscito?

Diamo garanzia di professionalità. Non tutti possono portare un drone nel Duomo, quindi è giusto lasciar far queste cose a chi le sa fare. L’altra caratteristica mia e di chi lavora con me è una grande produzione di idee, che teniamo segrete fino alla messa in onda. Siamo attentissimi alle cose originali. Siamo involontari fonte di idee anche per altri. Operiamo con passione e rispetto per quello che facciamo, per i rapporti umani, per la correttezza e per i luoghi. Tutto il rispetto che abbiamo delle persone lo dobbiamo a questo. È il successo delle istituzioni e dei privati; il programma coinvolge persone che ci aiutano, a volte trattiamo temi suggeriti da ricerche fatte da uomini che hanno studiato quel tema tutta una vita e noi abbiamo 20 minuti per farlo.

Fonti. A proposito di tecnologia… come si fa a non diventarne dipendenti?

Per noi sono temi che fanno parte del lavoro; nasco autore, se scrivo verifico le fonti. Sono un terreno scivoloso, che richiede molta esperienza. Devi aver visto tante versioni diverse della stessa notizia per fare un confronto nella propria memoria ed esperienza. Bisogna avere il coraggio di leggere, fare confronti tra più fonti. Nelle scuole spiego le tecniche dei falsari per raccontare cose non vere. Se sai riconoscere le cose, ti sai difendere.

La tecnologia è figlia dell’ingegnere IBM che nel ‘59 progettava il primo computer parlante. A casa mia si è sempre parlato di tecnologia, con mio padre che i computer li chiama calcolatori. La tecnologia ha due aspetti: o la conosci e ne sei padrone, altrimenti ne sei schiavo e devi far finta che non esiste. Un passo in avanti è stata la più recente tecnologia trasferita a troupe che lavorano spalla a spalla con me nelle grotte, mantenendo una qualità da cinema con l’agilità da documentario.

Il suo è un programma ad alta leggibilità grazie a EasyReading. Da cosa nasce questa esigenza?

La divulgazione è un servizio pubblico che non deve avere padroni. Non importa su che rete sia in programmazione, così come allo spettatore non interessa quale tasto del telecomando deve premere. La divulgazione non è destinata a una nicchia, è per tutti. E proprio per questo, perché sia fruibile nel migliore dei modi da chiunque, abbiamo pensato anche agli utenti dislessici. La stessa cosa è stata fatta per chi deve leggere. Io prima portavo gli occhiali, poi ho deciso di operarmi agli occhi. Non mi sono però dimenticato di aver portato gli occhiali e ho quindi chiesto a Mondadori di impaginare i miei libri con un carattere più grande, per andare incontro alle persone.

In tutto questo mi sono accorto che una delle mie figlie arrivava tardi con i sottotitoli. Alle elementari ha avuto nove maestri all’anno e nessuno si è accorto che era dislessica. Prendeva bei voti e in prima media sono stati bocciati sei ragazzi nella sua classe. Lei non è stata bocciata, ma si sono accorti che era dislessica e ha iniziato un lavoro importantissimo, recuperando gli anni persi alle elementari. Non era facile accorgersene perché esaltavano le sue doti. Non avevamo mai avuto alcun caso di dislessia in famiglia e l’abbiamo aiutata facendole seguire un percorso fatto di libri e ascolti.

Come mai ha scelto di adottare il font EasyReading?

I dislessici leggono tre sillabe al secondo invece di sei; sono informazioni che non sanno tutti. Questo problema è stato posto anni fa in Rai quando una delle mie campagne pubblicitarie di Voyager con immagini e scritte ha creato problemi per gli ipovedenti e per chi faticava a leggere. Arrivato a Mediaset, il responsabile Mirko Pajè mi ha fatto vedere il carattere e l’ho voluto subito. Utilizzare un font come EasyReading per tutti i testi è quello che avevo nella mente da anni.

Com’è cambiato il mondo della televisione nell’ultimo decennio dal 1997, anno del suo debutto?

È cambiato tantissimo. In termini di tempi, prima di tutto. Un servizio durava 2 minuti, ora solo 30 secondi mediamente. È una regola che naturalmente può cambiare in base al servizio, per esempio sotto elezioni le durate sono differenti. È cambiata la comunicazione. È cambiata l’intensità dell’immagine e dell’informazione ed è aumentato il lavoro. In Freedom ci sono 34 persone, di cui una troupe di 14 e 9 telecamere in 4K sempre acceseche riprendono tutto, con una telecamera che vive solo per i particolari.

La rete e i social hanno realmente accorciato le distanze?

Hai aperto due fronti bellissimi. Sui social gli indicatori sono al 99% positivi, scateniamo quello che siamo, la voglia di fare belle cose, di cercare buone notizie. Dall’altro lato c’è molta cattiveria impunita; tutti si sentono in diritto di dire cose che non direbbero, violente e ingiuste. Come sempre serve equilibrio; la vera conquista non è buttarsi da una parte o dall’altra. Possiamo gestire questi disequilibri buttandoci in avanti e non cadendo, gestendo un disequilibrio. Nessuno può mantenere l’anonimato sulla rete. Un tempo un nostro ospite, una persona della guardia di finanza, è stato attaccato da uno di loro. L’impunità non esiste.

Qual è la difficoltà di fare divulgazione scientifica oggi?

Il lavoro di divulgazione deve essere approfondimento misto a divertimento, per fare in modo di non perdere l’attenzione della gente. La parte più difficile per la buona riuscita della puntata, è proprio conquistare la fiducia dello spettatore e fare in modo che la sua curiosità non sopisca durante il programma. Per noi che lo realizziamo significa non smettere mai di studiare e fare squadra, perché i temi sono complessi. Il mio programma inizia alle 21:20 e termina a mezzanotte e non trattiamo temi popolari, come il calcio o la musica; non ci sono dibattiti animati che accendono le masse. Per questo è davvero complesso mantenere viva, in ogni edizione, la sete di approfondimento dello spettatore, sia esso un bambino o un centenario. Inoltre, dobbiamo scontrarci con un palinsesto tv davvero ricco, con reality e fiction che hanno budget importanti e dobbiamo essere interessanti quanto e più di loro per poter competere. I divulgatori scientifici sono pochissimi, a contarli avanzerebbe posto sulle dita di una mano. Andrebbero preservati, come i panda.

Giornalista, conduttore televisivo, autore televisivo, documentarista, scrittore, docente universitario: poliedrico qual è, riesce a raggiungere i target più diversi utilizzando tutti i possibili registri linguistici, risultando sempre stimolante. Qual è la “sua formula”?

La formula è la normalità; non entra il divo o il maestro o il despota, entra – anche se nel corpo di un adulto – un collega, un bambino, uno studente.