La Sei Editrice punta sull’inclusività. La parola all’AD, Ulisse Jacomuzzi

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La Sei Editrice è stata fondata a Torino nel 1859 e nel 1908 è stata ufficialmente costituita come società. La casa editrice, tra le prime in Italia a essersi attivate nel settore multimediale educativo, è espressione della Congregazione Salesiana con una funzione culturale e una precisa missione volta a sviluppare il senso critico, estetico e morale dei ragazzi. Azienda leader in ambito scolastico, da alcuni anni ha scelto di utilizzare il font inclusivo EasyReading per i testi rivolti alle classi primarie e secondarie. L’amministratore delegato Ulisse Jacomuzzi, in Sei Editrice dal 2000, ci apre le porte del suo ufficio.

Il vostro anno di nascita è fissato al 1908, quasi 110 anni fa. Come è cambiato il modo di fare editoria?   

È cambiato profondamente, soprattutto data l’accelerazione del digitale degli ultimi anni. Resto convinto che la tecnologia dei libri sia qualcosa di perfetto. Sono cambiati anche i tempi dell’editoria scolastica, si vive nella perenne necessità di innovare le pubblicazioni con le ultime novità, scoperte. Prima le opere duravano 20 anni, oggi dopo 4 anni risultano obsolete.

Tutto questo è un bene o un male?

Un male, anche se non assoluto; dovrebbe essere dato il tempo alle opere di diffondersi, di sedimentare. Ci sono testi che da 40 anni sono percepiti come dei pozzi di sapere, penso ad Abbagnano, il testo più diffuso intorno alle cattedre di filosofia. La didattica oggi impone di rimettere mano alle opere, lo richiede l’innovazione con suggerimenti più o meno utili all’arrivo di ogni anno accademico.  

Siete una delle principali case editrici scolastiche italiane: quando si pensa a un libro per ragazzi da dove si inizia?

Da un progetto, da un’idea autoriale o da un’idea che nasce nella stessa casa editrice. Negli ultimi anni il tasso di editorialità delle opere è aumentato, sempre più gli autori presentano un loro progetto e la casa editrice interviene prima della stampa per aggiungere solo quelle novità didattiche che l’autore non introduce. L’idea deve tener conto della concorrenza, prevede degli esami di mercato e una ricerca intorno a quei terreni poco battuti, tali da permettere l’apertura di nuove strade e quindi la pubblicazione di nuovi libri. Alcuni anni fa abbiamo pubblicato un libro di storia che ebbe un enorme successo, sapete perché? Perché metteva l’accento su qualcosa che di solito non trovi nei libri di storia, un paradosso: le storie, come quelle intorno al conflitto d’interesse. L’idea se buona si impone.

Ogni anno quanti progetti nuovi vedono la luce?

Circa 15 opere, che nascono da progetti di scrittori emergenti o da nuove proposte di autori affermati.

Sapere nel tempo: è il vostro claim. Ci spieghi meglio.

È una chiara allusione alla centenarietà della nostra casa editrice, alla sua presenza sul mercato editoriale sempre con un occhio di riguardo per l’educazione. E poi è un augurio che ci facciamo, nella speranza che si possano avere almeno altri 100 anni per guardare al passato, camminando verso il futuro.

Tra i vostri obiettivi anche quello di sviluppare nei lettori, del sano senso critico, estetico e morale. Tutto questo oggi pare essersi perso per strada. Quanto è da imputare ai nuovi modi di intendere la comunicazione, e quindi alla rete, e quanto al corpo docenti, a volte non aggiornato?

C’è una profonda differenza tra informare e formare un ragazzo. Per informare va benissimo lo strumento digitale, al quale non sfugge nulla. Ma noi dobbiamo formare e per farlo rimangono valide le impostazioni seguite sin qui. La classe docente deve essere formata dal Ministero non da noi, anche se parte della loro formazione passa da quello che le case editrici forniscono.  Il digitale ci deve essere ma è opportuno trovare anche il tempo per far depositare il sapere. All’ultimo Salone del libro, in conferenza erano presenti tre classi tra primarie e secondarie. Un neuroscenziato asseriva che la pagina di un libro, in quanto limitata, permetteva di avere una percezione maggiore del testo nonostante i ragazzi preferissero studiare sui tablet. La rivolta che ho visto in quei ragazzi, che hanno dichiarato a gran voce di preferire i libri ai tablet per studiare, mi ha rincuorato. È un pensiero grossolano quello che vede i ragazzi desiderosi di fare tutto con il telefono e i suoi simili. Serve solo il giusto impegno per far si che ci sia un sano equilibrio tra ciò che il ragazzo farà su di un libro, in una classe, alla lavagna, e ciò che farà con il suo computer, telefono o ipad. 

La didattica inclusiva: a che punto siamo in Italia?

Parliamo di un elemento di civiltà perché capace di porre l’attenzione sulle specificità e perché non esclude nessuno. La Sei Editrice ha deciso anni fa di farsi carico di queste problematiche, partendo da test di verifica tra testi di base e testi dedicati. L’impegno nel corso degli anni è stato notevole, sia nei testi sia nel digitale, rendendo la nostra editoria ad alta leggibilità.

La dislessia ed EasyReading… come ci siete arrivati?

Le voci nel mondo dell’editoria corrono veloci. Ho saputo dell’esistenza di EasyReading da amici in comune. Da lì è nato il primo incontro e una volta scoperta l’impostazione molto utile del loro font non abbiamo potuto far altro che adottarlo. Abbiamo colto in loro la voglia di continuare a lavorarci su, non volevano darci qualcosa una volta per tutte, volevano proseguire gli studi, affinare gli utilizzi. Ecco perché mi aspetto da un momento all’altro una nuova versione.

Per quali delle vostre pubblicazioni usate il font inclusivo?

Per tutte. Ogni libro, se non nella sua interezza, ha delle parti in EasyReading e da quest’anno oltre ad essere il font utilizzato per i libri della scuola primaria e secondaria, sarà utilizzato anche per il triennio delle Scuole Superiori.

Qual è la direzione che prenderete in un futuro prossimo?

Cercheremo di essere fedeli alla nostra missione, o mission come si dice oggi. Vogliamo fornire ai professionisti e agli alunni degli strumenti che funzionino. La nostra premura sarà salvaguardare il necessario strabismo da avere in questi casi, perché lo strumento deve essere, sia esso cartaceo o digitale, utile sia all’insegnamento che all’apprendimento. Le due componenti vanno tenute insieme in modo armonico, ecco cosa continueremo a fare negli anni a venire.  

Fiere. Dove vi troveremo?

La nostra politica interna ci porta a indirizzare il tempo che passeremmo dentro una fiera, verso le scuole. È lì che teniamo i nostri corsi di aggiornamento, è li che i nostri autori presentano le loro opere. Il rapporto che la casa editrice instaura con il suo interlocutore è B2B [Business-to-business, ndr], ecco perché preferiamo andare a parlare direttamente con gli insegnanti.  Bologna? Non c’è più il padiglione dedicato alla parte scolastica, ecco perché non partecipiamo più. Torino? Ci stiamo pensando.

 

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